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Fotoritocco e post-produzione fotografica: dove è il limite tra semplice sviluppo e alterazione? Esiste la foto naturale?

Tuesday 18 September 2012

anteprima

Dall’avvento della fotografia digitale, si è aperta la possibilità di interventi massicci in fase di post-produzione, gli stessi che prima richiedevano operazioni più laboriose in camera oscura. La cosiddetta post-produzione non è altro che ciò che veniva comunemente chiamato “sviluppo fotografico” con la pellicola, allorché la fase di elaborazione post-scatto non si limitava solo a “sviluppare” correttamente il film (o creativamente, si pensi ad es. al cross-processing), bensì anche a reinterpretare la foto fino alla fase di stampa.

Il procedimento artigianale implicato faceva sì che ogni “alterazione” dell’immagine ricadesse in un ambito di creatività lecita. Nessuno si scagliava contro il fotografo che liberamente alterasse le proprie foto in camera oscura purché non procedesse a falsificazioni vere e proprie come ad esempio il montaggio di immagini, che prima era considerato strettamente operazione grafica, oggi nell’era del digitale è diventata una pratica piuttosto comune, dal clonare elementi di una foto fino a innesti veri e propri. Ad esempio gran parte delle foto notturne con una luna molto grande sono facilmente ottenibili aggiungendo uno scatto ingrandito della luna a una nostra foto. E’ un’operazione talmente facile da fare in Photoshop che difficilmente non si cade in tentazione.

A conti fatti la manipolazione delle foto c’è sempre stata, dal momento che come sa chiunque pratichi la fotografia (amatore o professionista non fa differenza) e non lo scatto distratto, la fotografia non è una documentazione della realtà bensì un ritaglio creativo e soggettivo secondo un punto di vista tutto personale, quanto di più lontano esista da una descrizione scientifica dell’esistente. Che poi venga utilizzata anche in ambiti tecnici per scopi di documentazione (cartografia satellitare, documentazione scientifica, ecc.) non ci deve ingannare sulla natura prettamente artistica e interpretativa della fotografia nella sua storia secolare.

Detto ciò è evidente che il concetto di “foto naturale” è duro a morire e a parte una certa disinformazione di fondo fa leva certamente su qualcosa di universalmente valido: la visione umana ha dei confini, se ad esempio invertiamo i colori di una foto di paesaggio è difficile poi che qualcuno non abbia una sensazione di “irrealtà”. L’operazione è certamente lecita,  ma ognuno di noi ha una sua esperienza visiva di tanti paesaggi e nel momento in cui si prende visione di una foto è inevitabile cercarvi un dato di realtà.

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L’abuso del fotoritocco, cui anche il sottoscritto ha ceduto spesso, non tanto per volontà di mistificazione quanto proprio per incapacità di usare gli strumenti di post-produzione ad altissimi livelli (sono “solo” un fotografo…), tanto che siano “invisibili”, è una cosa cui ormai ci stiamo abituando ma non deve ingannare. La manipolazione della foto, per quanto ricada in un’interpretazione soggettiva, deve mirare a un risultato. Se l’obiettivo è creare un’immagine irreale allora possiamo giustificare tutto ma se puntiamo a creare delle immagini intense, perché magari il soggetto lo consente, perché abbiamo visto qualcosa che deve essere valorizzato anche in fase di post-produzione (senza dimenticare che lo scatto è il 90% dell’opera!), una post-produzione eccessiva, visibile, che trasmette un senso di artefatto e manipolato, farà sì che la nostra foto perda di bellezza invece che guadagnare.

La classica frase “ma è ritoccata”, che chiunque non conosca la fotografia si troverà a pronunciare di fronte a una nostra foto sviluppata in camera chiara, di nuovo è una banalità (è ovvio, tutte le foto sono “sviluppate”, anche dalla pellicola) ma nella sua ingenuità delinea un dato universale: la foto viene percepita come falsa! Risultato: il nostro tramonto drammatico, colto con una luce particolare - è solo un esempio tra i più comuni - invece di suscitare stupore suscita un sentimento misto: bella sì, però non è reale.

A pensarci bene, se lo spettatore sente invece che quella immagine rappresenta qualcosa di reale, magari un luogo fotografato con una luce unica, capiamo bene che il suo stupore è nettamente superiore, perché quel “luogo” esiste davvero, e noi siamo stati così bravi da scoprirlo e immortalarlo in un momento unico e irripetibile. Ovvero non abbiamo fatto una foto banale e poi cercato di renderla speciale in post-produzione, bensì siamo stati capaci di vedere e fotografare qualcosa cui solo noi abbiamo avuto accesso (in senso artistico) e lo portiamo agli occhi dello spettatore. A conti fatti, nel primo caso siamo stati dei bravi ritoccatori ma anche un po’ dei mistificatori, nel secondo caso siamo stati dei bravi fotografi, perché il fotoritocco c’è ma non si vede. 

A conclusione di questa riflessione tutta personale, porto un esempio fotografico. Ovviamente si tratta di una foto “reale” nel senso che non ci sono alterazioni di sorta, come nell’esempio detto, si tratta di un momento di luce davvero unico. Lo scopo del fotoritocco era di rendere più drammatico lo scatto senza far percepire che fosse un “falso” (dato che non lo è):

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Questi due sviluppi a confronto rappresentano bene due risultati diversi derivanti dalla stessa intenzione: accentuare la drammaticità di un’immagine già molto forte. La possibilità tecnica di intervento nel digitale fa si che ci si possa spingere ai limiti, pratiche come l’abusatissimo e amatissimo (soprattutto dai dilettanti) HDR ne sono un risultato, ma di fatto (e prendetelo come un punto di vista prettamente soggettivo) è proprio nella “naturalezza” finale di una foto che possiamo cogliere la bellezza dello scatto. Gli eccessi distraggono e ingannano.

Per dare delle indicazioni sul tipo di fotoritocco, la foto di sinistra è stata ottenuta con una mascheratura più  grossolana, la foto di destra con un lavoro più morbido utilizzando le proprietà avanzate di fusione dei livelli. Ma soprattutto è stata ottenuta avendo in mente un risultato assai più “conservativo”, ovvero che non lasciasse intravedere l’intervento di post-produzione.

Un altro aspetto che si può notare è un’ottimizzazione delle curve che non eccede nelle alte luci, ovvero di nuovo la foto di destra è più “morbida”, quella di sinistra più intensa (dal punto di vista del fotoritocco), portata al limite del contrasto possibile.

Personalmente trovo l’immagine di destra migliore (ovviamente, sennò tutta questa riflessione non avrebbe senso) ma sarebbe interessante sentire altre opinioni, personalissime opinioni, sull’argomento, che tra l’altro non è argomento da poco, è uno di quelli che tiene in subbuglio intere commissioni preposte a giudicare le foto di premi importanti.

Aggiungo un altro esempio fotografico, stavolta “in blu”. Ho voluto provare le migliorie tecniche di ACR 7 (vedi articolo in cui testo le potenzialità di Camera Raw incluso in Photoshop CS6) in generale la possibilità di estendere la latitudine di posa del RAW grazie a un miglior algoritmo riprendendo un vecchio file scattato con una Eos 1D mark2, ottima macchina ma certo non l’ideale per i paesaggi. La foto è tecnicamente il meglio che si potesse fare, tirata al massimo verso le alte luci e ottimizzata in camera chiara, tuttavia l’istogramma sfora sia nei neri che nei bianchi. Il recupero con il vecchio Camera Raw era limitato. Con la nuova versione ho potuto fare un HDR ed esposizione semplice, con due esposizioni (sviluppate dallo stesso file) e sovrapposte con una semplice fusione di zone scure e chiare.

Entrambe le foto che presento mostrano un’interpretazione, ovvero nessuna delle due potrebbe definirsi più realistica dell’altra. La seconda foto tira fuori più dettaglio e colore dalla scena, e in un certo senso potrebbe essere considerata più realistica. Qui più che mai il gusto personale entra in gioco e ovviamente, salvate le differenze individuali, un minimo di cultura fotografica.

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La discussione è aperta…

©2012 Marco Palladino 

 

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